Interior Design

Immagini retiniche di ingressi d’antan

Immagini retiniche di ingressi d'antan

Gli ingressi moderni di molti edifici di Milano raccontano una storia dell’architettura che attraverso le firme di Portaluppi, Ponti, Caccia Dominioni e molti altri reinventano la portata del materiale lapideo come tabula rasa di un nuovo progetto.

Di Giorgio Tartaro

Nei miei soggiorni a Roma, in quasi trent’anni di lavoro giornalistico, ho focalizzato l’attenzione sulla prima impressione: l’ingresso degli edifici.
Già perché la forma è altrettanto affascinante, soprattutto per quelle forme moderne che dialogano con storia e stratificazioni. Balconi e terrazze, verde e viste di ogni genere. Ma gli ingressi e il parziale percepito delle scale mi hanno sempre affascinato.
E la recente memoria mi parla della scala in marmo e porfido dell’Hotel Mediterraneo, vicino alla Stazione Termini, edificato in altezza per quell’Expo del 42 che non si fece mai e che generò l’Eur.
Abito però a Milano e giro spesso a piedi e in bicicletta, da tempi non sospetti. E mi sono spesso soffermato ad ammirare portoni trasparenti e interni in magnifci marmi, spesso esaltati da luci contemporanee. Ho sempre pensato che quella pietra, vera, antica, reale, riaggiornata nel progetto moderno o contemporaneo fosse la sola, unica quinta ideale nel trascinare il visitatore nel ventre molle dell’edificio.

Già perché quel transitorio è carta di identità, biglietto da visita, pudenda di un progetto che si scopre nel percorrerlo.
Devono averlo pensato ed immaginato anche due giganti del progetto architettonico milanese.
Portaluppi da un parte, capace di dialogare con la pietra naturale nelle sue bellissime centrali alpine, e Caccia Dominioni dall’altra.
In città i maestri hanno dato prova aulica soprattutto nel declinare in forma moderna un rivestimento lapideo che diviene testo, scrittura, poesia.
Con una essenziale differenza forse: la matericità e trimimensionalità di un Portaluppi che esalta la materia, la pietra nella sua forza, pesantezza, immortalità, e la bidimensionalità di Caccia Dominioni, forse più intento ad intarsi ed accostamenti, entrambi feticisti del disegno e della posa.
Eleganti, austeri, preziosi sono i marmi provenienti dalle vie d’acqua (Lago Maggiore, Come e Lugano), lo stesso Candoglia del Duomo di Milano così come altre pietre preziose che costruiscono ricetti unici e meravigliosi, quasi quanti i giardini nascosti di una Milano tutta da scoprire. Ma accanto alle pietre lacustri spiccano i verdi della Valle d’Aosta, bianco del bresciano Botticino, gialli toscani e molto altro.

Accanto ai già citati Portaluppi e “Il Caccia”, come amichevolmente definito, capaci di creare veri e propri manifesti (Villa Necchi Campigli, casa Boschi Di Stefano, casa Portaluppi per il primo e complessi in Corso Italia e San Vittore per il secondo) ci sono molti altri nomi quali quelli dell’eclettico Gio Ponti per abitazioni e sedi di varie aziende, Martinenghi, Avati, Fornaroli, Rosselli, Pier Luigi Magistretti di Piazza Meda e molto altro.

D’altronde la ricca committenza tessile e delle varie industrie nascenti non badava a spese.

Una mappa diffusa di edifici ed ingressi, ognuno con un tema o una base cromatica distintiva, capace di rappresentare la proprietà, il luogo, la storia o il futuro di una città che nella pietra scolpiva la propria nuova imprenditorialità e capacità di rappresentarsi.

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